Cosa è la “White hat SEO”

Con il termine “White hat SEO” si fa riferimento a strategie e accorgimenti per migliorare il posizionamento di un sito web e delle sue pagine sui motori di ricerca, in modo naturale e  rispettando le loro linee guida.

La “White hat SEO” – SEO dal “cappello bianco” – vuol far salire nei risultati di ricerca il sito al quale è applicata senza violare le regole stabilite dai motori di ricerca ed è in contrapposizione alla “Black hat SEO” – la SEO “dal cappello nero” – che adotta tecniche per individuare ed aggirare le vulnerabilità degli algoritmi e migliorare il posizionamento delle pagine web.

 

Quale origine ha il nome?

Ma facciamo un passo indietro e individuiamo l’origine delle due espressioni.

Facendo riferimento ai film del cinema western, i cowboy buoni indossavano il cappello bianco, mentre quelli cattivi lo avevano nero. Invece parlando di film di fantascienza (Star Wars) i buoni usano il “lato chiaro della forza”, mentre quelli cattivi il “lato oscuro della forza”.

In realtà la dualità buoni/cattivi ha poco senso nella SEO, perché chi fa “Black hat SEO” in realtà non infrange norme o leggi e la violazione gli algoritmi ha conseguenze deleterie prima di tutto per il sito e le pagine alle quali è applicata.

La “White hat SEO” è invece in linea con le condizioni stabilite dai motori di ricerca (tra i quali Google ne è il principale) e adotta ogni pratica che migliora il posizionamento del sito nei risultati di ricerca, mantenendone l’integrità.

 

9 tecniche del “White hat SEO”

Le tecniche sono grossomodo le stesse per entrambe le fazioni (black e white… mi viene in mente una canzone di Michael Jackson), la differenza sta nel come sono applicate.

Come sempre non è lo strumento ad essere buono o cattivo, ma l’uso che ne viene fatto.

Ecco alcuni esempi di tecniche della “White hat SEO”.

  1. Keywords. L’inserimento delle parole chiave nelle pagine è di tipo “white” se fatto in modo coerente e senza la loro ripetizione estenuante (keyword stuffing). La loro presenza nei testi deve essere dunque naturale e non ridondante, così da contribuire al buon posizionamento della pagina e non alla sua penalizzazione.  Le keywords (parole chiave) sono uno strumento da usare per generare valore duraturo per l’attività, oppure per ottenere un risultato effimero e senza soddisfare il target.
  2. Contenuti di qualità. Se un contenuto è redatto pensando a soddisfare l’utente e la sua ricerca di informazioni, allora ha “il cappello bianco”. Se al contrario è scritto solo per i motori di ricerca cercando le prime posizioni su Google allora sarà privo di reale interesse per chi lo legge. Ogni periodico aggiornamento degli algoritmi ribadisce quanto siano premiati contenuti scritti con un linguaggio naturale, originali (non copiati) e di valore per il target al quale si rivolgono, così da rispondere in modo preciso alla domanda che ha portato gli utenti ad effettuare la ricerca. Allo stesso tempo ottimizzati per parole chiave, corrispondenti il più possibile a quelle digitate durante la ricerca. 
  3. Link. La link building è considerata “white” se non utilizza i collegamenti esterni per fare spam ed ingannare i motori di ricerca. Cercare di guadagnare link in entrata è tra i fattori noti per avere un buon punteggio tra i risultati, ma l’unico modo per attrarre link – premiato da Google – è creare contenuti di qualità, unici nel suo genere, in modo che gli altri non possano fare a meno di linkarli. Altre pratiche “tollerate” dai motori di ricerca – ma non incentivate – sono quelle di realizzare guest post, diffondere interviste, virgolettati e contenuti media.
  4. Codice HTML. Il codice usato per la costruzione di un sito dovrebbe essere privo di errori, così da facilitare il lavoro di indicizzazione dei robots.
  5. Ottimizzare gli url. È una buona tecnica per fare SEO, l’indirizzo al quale si trova una risorsa web dovrebbe essere descrittivo, ossia “parlare” del contenuto al quale indirizza.
  6. Tempi rapidi di caricamento. Quando una pagina non viene caricata nel tempo stabilito viene abbandonata dagli utenti e questo influenza il posizionamento su Google. A nessuno piace attendere per più di 10 secondi ed il mondo di internet è caratterizzato da ricerche immediate e rapide.
  7. Compatibilità con i dispositivi mobili. Il sito web dovrebbe essere perfettamente funzionante su una varietà di dispositivi mobili utilizzati, versione del browser e sistemi operativi di questi. Sempre più ricerche sono effettuate da mobile, per questo è necessario che la pagina si adatta completamente anche allo schermo non desktop.
  8. Uso di tag descrittivi. I tag sono elementi HTML espressi con parole chiave aggiunti alle pagine di un sito web. Il loro obiettivo è identificare un contenuto tramite una o più keywords.
  9. Sito facile da navigare. Mai sentito parlare di web usability? A me ha affascinato fin dall’inizio. È la disciplina che rende un sito web usabile lato utente, soddisfacendone rapidamente i bisogni informativi. Per questo l’utente deve navigare facilmente tra le pagine del sito grazie alla struttura costruita per agevolare la navigabilità tra le pagine, orientarsi ed arrivare rapidamente a ciò che cerca.

L’ho detto e lo ripeto: chi viola i termini di Google (e degli altri motori di ricerca) non infrange nessuna regola, se non quella di tradire il cliente promettendogli una professionalità non etica e causando un danno enorme a colui che ha commissionato il lavoro.

Un lavoro svolto senza professionalità e percorrendo pericolose scorciatoie porterà a pericolose penalizzazione da parte di Penguin e Panda (algoritmi di Google), che spingeranno in poco tempo il sito web in fondo alla classifica. Quindi, quale risultato per il cliente?…

 

Cosa centrano gli hacker?

In realtà il termine “white hat” è preso in prestito da un modo di dire del web, identificando due frange di hacker:

  • hacker (dal cappello nero), sono interessati solo al tornaconto personale e svolgono la loro professione per truffare le persone e rubare dati sensibili da rivendere a caro prezzo al miglio offerente;
  • hacker etici (dal cappello bianco) forzano i server a fin di bene per evidenziarne le falle e notificarle ai proprietari. Violano i sistemi per dimostrarne le vulnerabilità a cui sono esposti e partecipano attivamente alle operazioni di cyber war (guerra cibernetica), per contrastarne i lati negativi e difendere così i diritti digitali dei cittadini.

Per la SEO è la stessa cosa: i primi sfruttano le falle degli algoritmi di Google e degli altri motori di ricerca per avere un ritorno economico; i secondi utilizzano gli algoritmi senza nessuna infrazione delle regole, ma solo per favorire il posizionamento di siti web, coerenti alle parole di ricerca usate dagli utenti. Studiano dunque i sistemi per soddisfare gli internauti ed i robots, senza forzare niente.

 

Conclusione

La “White hat SEO” è la SEO buona che piace ai motori di ricerca perché crea valore prima di tutto per gli utenti, a basso rischio in termini di penalizzazioni da parte di Google e in grado di garantire buoni risultati a medio e lungo termine.

È resiliente agli aggiornamenti degli algoritmi, al contrario della “Black hat SEO” che offre risultati se l’obiettivo è solo quello di scalare in poco tempo la SERP, per poi sparirne dopo un brevissimo periodo; e dalla “Grey hat SEO” che vive sulla sottile linea rossa che ogni aggiornamento dei motori di ricerca possa cambiare colore alle tecniche SEO utilizzate, così da passare al “lato scuro”.

Usare la “White hat SEO” non è solo una scelta, ma anche una filosofia di vita, non usarla comporta conseguenze negative per il sito web, fino addirittura l’esclusione da Google, ed essendo il primo tra i motori di ricerca è utilizzato da miliardi di persone al giorno.

Il web marketing – di cui la SEO ne è una branca – è un metodo più efficace per dare visibilità ad un’attività in internet e la SEO ha lo scopo di posizionare un sito web tra i primi risultati di ricerca, per alcune parole chiave.

Ma spesso accade che, chi si occupa di marketing online e di SEO scelga di infrangere le regole, a differenza di altri che decidono di seguire le linee guida e sfruttare in senso positivo gli algoritmi.